Un mondo sospeso: leggere il presente per non smarrire il futuro - Recensione a La scossa globale. L’effetto Trump e l’età dell’incertezza di Maurizio Molinari (a cura di Domenico Rotondi)
Nel volume La scossa globale, Maurizio Molinari concentra la propria analisi su un passaggio cruciale della storia contemporanea: il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, interpretato come un fattore di rottura capace di produrre ricadute diffuse sull’ordine internazionale e, per riflesso, sulla vita quotidiana delle società occidentali. L’autore colloca tale dinamica all’interno di un quadro più ampio, nel quale mutano gli equilibri fra le grandi potenze, si ridefiniscono i legami tra alleati, si moltiplicano le aree di attrito e si trasforma, in profondità, la stessa idea di leadership. È, in sostanza, la condizione di un «ordine internazionale sospeso» a costituire il baricentro di queste pagine: una sospensione che non indica immobilità, bensì instabilità strutturale, con la possibilità — evocata con realismo e senza indulgere a toni apocalittici — che la somma dei conflitti regionali e delle competizioni sistemiche possa degenerare fino a produrre un’escalation di portata più ampia.
Molinari ricostruisce questa «età dell’incertezza» muovendo dagli eventi cardine dell’ultimo ciclo storico e soffermandosi in particolare sui due conflitti che hanno segnato la temperatura geopolitica del presente: la guerra in Ucraina e la crisi mediorientale. L’approccio è quello dell’osservatore esperto, che descrive gli scenari con accuratezza e li rende leggibili anche grazie all’uso di mappe e grafici, impiegati non come mero ornamento, ma come strumenti di supporto interpretativo. In tale cornice, il “terremoto” connesso al nuovo corso americano non viene trattato come una parentesi contingente, bensì come un acceleratore di tensioni già in atto: dalla competizione economica alla contesa per la supremazia tecnologica, fino alla dimensione politico-militare, che torna a dominare il lessico del potere globale. Ne deriva un panorama che l’autore definisce imprevedibile, incandescente e traumatico, e che proprio per questo — sottolinea — deve essere compreso, perché riguarda tutti e impone a ciascuno, a partire dalle classi dirigenti, una più elevata consapevolezza del tempo presente.
Accanto a questa cornice interpretativa, la locandina del libro si rivela coerente e comunicativamente efficace. Il re degli scacchi rosso, circondato da pedine grigie e sovrapposto a una mappa del mondo, sintetizza con immediatezza visiva l’idea di un sistema internazionale nel quale una singola mossa “decisiva” può alterare l’assetto complessivo della scacchiera globale. L’immagine, sobria e netta, non promette soluzioni facili: richiama, piuttosto, la precarietà degli equilibri e il peso strategico delle scelte che incombono sull’ordine mondiale.
Dal quadro globale alle responsabilità dell’Occidente e dell’Italia
Riflessioni a margine del volume di Maurizio Molinari
Se Maurizio Molinari descrive con precisione analitica la nuova instabilità internazionale, il lettore è naturalmente indotto a interrogarsi sulle traiettorie che potrebbero consolidarsi nel medio periodo. È un passaggio quasi inevitabile, che nasce non da una forzatura interpretativa, ma dalla densità stessa del quadro delineato nel volume. In questa prospettiva, la Via di Suez appare come una vera e propria cartina di tornasole del nuovo equilibrio mondiale: non soltanto per il suo valore logistico ed energetico, ma perché segnala quanto le rotte commerciali e i punti di strozzatura della globalizzazione siano divenuti spazi nei quali l’economia si salda in modo sempre più stringente alla strategia geopolitica.
Allo stesso tempo, la realpolitik impone di registrare il peso crescente dell’asse russo-cinese, che tende a ridimensionare la centralità delle tradizionali categorie novecentesche e costringe l’Occidente a una revisione profonda del proprio linguaggio politico e delle proprie posture internazionali. In un mondo ormai strutturalmente interconnesso, la logica del “fortino chiuso” rischia di trasformarsi in una condanna: non perché la difesa dei confini sia, in sé, illegittima, ma perché l’autosufficienza si è rivelata un’illusione costosa per Paesi che fondano la propria prosperità sugli scambi, sull’innovazione e sulla credibilità internazionale.
Ne consegue che il paradigma sociale — inteso come capacità di tenere insieme crescita economica, coesione civile e tutela dei diritti — potrebbe tornare decisivo anche sul piano geopolitico, a condizione che l’Occidente sappia parlare alle migliori energie africane e asiatiche senza paternalismi e senza retorica. Le contraddizioni di questo orizzonte restano evidenti: dalla cattiva distribuzione della ricchezza all’indebolimento degli strumenti multilaterali, fino all’uso spesso inconcludente di un internazionalismo ridotto a formula. Eppure, proprio l’incontrollabile crescita demografica e l’accelerazione tecnologica impongono di sperimentare nuovi cammini produttivi e sociali, pena l’inasprimento dei rapporti fra aree del mondo sempre più distanti e sempre più concorrenti, secondo una logica di scambio duro, talvolta persino predatorio.
Quanto all’Italia, la sfida potrebbe consistere nel tornare a valorizzare ciò che, storicamente, ne ha definito il profilo competitivo e la riconoscibilità internazionale: la cultura, il design, le produzioni tipiche, la manifattura di qualità e una moderna industria sostenibile. In questo quadro, il PNRR dovrebbe essere calibrato su interventi concreti e lungimiranti, capaci di generare infrastrutture materiali e immateriali durature, evitando il ritorno di un clientelismo spendaccione che appartiene a stagioni di breve respiro e di lunga inefficienza.
#domenicorotondi



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