Il Sannio ritrovato nello Scudo di Kòra: il romanzo storico di Nicola D’Angelo (articolo di Domenico Rotondi)
Con Lo scudo di Kòra, Nicola D’Angelo compie un passaggio narrativo di particolare rilevanza, muovendosi dal rigore del diritto alla libertà controllata della narrativa storica, senza mai smarrire il senso della misura, della responsabilità e della verità profonda dei contesti. Il risultato è un romanzo che procede con passo sicuro tra ricostruzione storica, tensione epica e riflessione civile, restituendo dignità letteraria a una vicenda che la storia ufficiale aveva deliberatamente rimosso.
Al centro del racconto emerge la figura di Kòra, guerriera sannita collocata nel cuore della Seconda Guerra Sannitica, in un’epoca che non avrebbe mai potuto riconoscerle merito né legittimità. La sua parabola si intreccia simbolicamente con un’antica armatura, oggi custodita presso il Museo Sannitico di Campobasso, che nel romanzo assume il valore di prova materiale contro l’oblio imposto. Non si tratta di un semplice espediente narrativo, bensì di una scelta consapevole: l’oggetto diventa testimone, il reperto si fa voce, la materia si trasforma in memoria.
D’Angelo costruisce il personaggio di Kòra evitando ogni indulgenza retorica. La sua eroina non è un’icona astratta, ma una figura storicamente plausibile, inserita in un contesto politico e culturale che ne rende comprensibile, e al tempo stesso intollerabile, l’esistenza. Kòra combatte contro Roma, ma soprattutto contro un ordine simbolico fondato sul primato maschile. Le sconfitte militari, per il Senato romano, potevano essere metabolizzate; l’oltraggio di essere stati piegati e derisi da una donna, invece, non era ammissibile. Da qui la scelta estrema della damnatio memoriae: cancellare il nome, negare l’esistenza, profanare il coraggio attraverso il silenzio.
Il romanzo si distingue per la capacità di intrecciare la vicenda individuale con la dimensione collettiva del Sannio preromano, qui restituito come civiltà complessa, policentrica e profondamente radicata nel territorio. I pagus e i vicus, i percorsi tratturali, i templi e i teatri non costituiscono meri sfondi scenografici, ma esprimono un modello organizzativo avanzato, fondato su un equilibrio tra produzione, spiritualità e civismo. La religiosità sannita, armonizzata con i ritmi della natura, viene correttamente interpretata come forma di ambientalismo originario, mentre il tessuto urbano policentrico si pone in netto contrasto con la visione concentrica e colonizzatrice della città-Stato romana.
In questo quadro, Lo scudo di Kòra assume un valore che supera il perimetro del romanzo storico. Il Sannio si configura come contraltare italico a un globalismo ante litteram, fondato sull’omologazione e sulla cancellazione delle differenze. Le recenti acquisizioni archeologiche nei territori fortorini, matesini e frentani rafforzano questa lettura e confermano l’originalità di un popolo a lungo marginalizzato dalla storiografia dominante.
La locandina: un’immagine che custodisce e rivela
La locandina del volume si presenta come un efficace dispositivo narrativo visivo. Il volto della guerriera, parzialmente celato dallo scudo, instaura un rapporto diretto con l’osservatore, evocando immediatamente i temi della difesa, della resistenza e della memoria negata. I rilievi figurativi dello scudo richiamano l’universo simbolico antico, mentre la scelta cromatica, dominata da tonalità terrose e metalliche, rafforza il legame con la materia, con il tempo lungo della storia e con la dimensione archeologica del racconto.
Il titolo, composto con caratteri solenni e ben calibrati, restituisce centralità al nome di Kòra, trasformandolo da oggetto di cancellazione a soggetto di narrazione. Nel complesso, la locandina risulta coerente con l’impianto del romanzo: non anticipa, ma suggerisce; non spiega, ma interroga. È un’immagine-soglia che accompagna il lettore verso una storia di coraggio, rimozione e riscatto.
Conclusione
Lo scudo di Kòra è un romanzo che unisce rigore e passione, memoria e identità, dimostrando come la narrativa storica possa farsi strumento di giustizia simbolica. Nicola D’Angelo restituisce voce a ciò che era stato condannato al silenzio e affida alla letteratura il suo compito più alto: ricordare, là dove il potere aveva imposto di dimenticare.
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