Per una Politica della Ragionevolezza: Riformismo, Memoria Storica e Nuovo benessere diffuso. Crescita per tutti, non per pochi. (articolo di Domenico Rotondi)
Il volume Il merito, il bisogno e il grande tumulto segna il ritorno di Claudio Martelli nel dibattito politico-culturale italiano. La copertina, sobria e incisiva, richiama il rigore della riflessione che attraversa l’intero testo: un invito a sottrarre la discussione pubblica alla superficialità e a restituirla al pensiero critico, alla responsabilità civile, alla capacità di distinguere tra propaganda e progetto politico.
Martelli riprende e aggiorna la formula da lui coniata nel celebre discorso pronunciato alla conferenza programmatica del PSI di Rimini del 1982: merito e bisogno. Due parole oggi abusate, ma raramente comprese nella loro reale portata riformista. Nel libro l’autore denuncia la trasformazione della meritocrazia in uno slogan vuoto, funzionale a un sistema che, invece di ampliare le opportunità, tende a consolidare le disuguaglianze di origine. Il merito – sostiene – non può essere un privilegio di pochi, ma va garantito attraverso condizioni di partenza eque, politiche sociali lungimiranti, un’istruzione laica, pubblica e di qualità, capace di emancipare e non di selezionare in base ai ceti.
Questa riflessione richiama la stagione più feconda della storia repubblicana: il primo centrosinistra, fautore dello Statuto dei Lavoratori, della crescita economica dei ceti popolari, dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale e dell’accesso diffuso ai luoghi della formazione. Quella fu la politica della ragionevolezza, una cultura istituzionale fondata su convergenze riformiste e non su tifoserie contrapposte; una politica capace di coniugare visione e pragmatismo, giustizia sociale e sviluppo economico.
Negli anni Ottanta, il pentapartito interpretò e proseguì quella tradizione attraverso l’alleanza tra Democrazia Cristiana e forze laico-socialiste di radice risorgimentale: partiti che seppero valorizzare il concetto di patria in chiave culturale, civile e democratica, e non in versione muscolare o identitaria. Fu una stagione talvolta oggetto di caricature, ma che assicurò al Paese stabilità, benessere diffuso, modernizzazione amministrativa e industriale.
Tutto ciò venne travolto dalla cosiddetta rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite, un terremoto che spazzò via interi gruppi dirigenti, lasciando spazio – come ricordano numerosi osservatori internazionali – alla svendita del patrimonio industriale pubblico e a un progressivo arretramento dell’Italia nello scenario globale. Il venir meno della politica dei partiti storici aprì la strada al sistema maggioritario e alla personalizzazione della contesa politica: un modello che ha esaltato il leaderismo, alimentato faziosità e tifo, ridotto gli spazi della partecipazione democratica.
Da qui l’urgenza, oggi più che mai evidente, di riscoprire una politica ragionata e ragionevole, capace di riportare al centro la dignità civile, la coesione territoriale e la funzione sociale dello Stato. L’Italia – sostiene Martelli, e con lui una vasta tradizione culturale – ha bisogno di una nuova forza liberalsocialista, radicata nel mondo del lavoro, attenta ai diritti di cittadinanza, alle aree interne, alla giustizia territoriale, sostenuta dal volontariato laico e cattolico: due anime complementari che hanno sempre sorretto la democrazia repubblicana.
In questo quadro si inseriscono anche le esperienze personali e civili di chi scrive questo modesto articolo: dal ricordo di Sandro Pertini, simbolo di onestà e umanità socialista, alla partecipazione al convegno sul moto internazionalista del Matese a Bojano, occasione di confronto vissuta all’insegna del libero pensiero e della passione storica per una Terra – quella del Matese e del Sannio – che fu culla di culture sannite, longobarde, normanne e illuministe. Non a caso il richiamo ai grandi intellettuali molisani e sanniti – Vincenzo Cuoco, Francesco Longano, Giuseppe Maria Galanti, Sebastiano Guidi – restituisce il senso di una tradizione illuminista che vide nella giustizia sociale e nell’autodeterminazione dei popoli le fondamenta della rivoluzione napoletana del 1799.
È in questo contesto che si colloca la scelta di chi scrive – dichiarata in spirito libero – di dare fiducia alla lista socialista in occasione delle prossime elezioni campane: non per appartenenza di tessera, ma per convinzione culturale e morale. Perché, come ha scritto Carlo Rosselli, il socialismo liberale non è negazione del liberalismo, ma suo compimento, poiché estende a tutti i diritti e le libertà che per troppo tempo sono stati privilegio di pochi.
Una posizione che si intreccia con la tradizione meridionalista, con la difesa delle aree appenniniche, con la battaglia contro le distorsioni della malapolitica metropolitana e con la volontà di valorizzare i giovani capaci e meritevoli, proteggendoli da strumentalizzazioni e fanatismi. Ed è proprio nelle aree interne – oggi centrali nelle politiche ambientali e di coesione – che può rinascere un civismo politico nuovo, fondato sulla ragionevolezza, sulla cultura istituzionale e sull’impegno verso la comunità.
In un tempo dominato dall’istantaneità e dalla conflittualità perenne, questa modesta riflessione ricorda che la libertà non è uno slogan, ma un principio di vita. E che la politica, per essere all’altezza della storia italiana, deve tornare a essere un esercizio di responsabilità, non un’arena di tifoserie.
#domenicorotondi



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