Colture agricole e cambiamento climatico: l’innegabile impatto umano e l’umidità indotta

 



Occorre ridurre l’impatto dell’uomo sul resto del creato: ciò vale in tutto il mondo, così come nelle nostre aree interne. Ognuno di noi, sia come individuo sia come comunità, è parte del problema e può essere parte della soluzione. Ad esempio, restringendo lo sguardo al territorio in cui viviamo e analizzando le colture maggiormente diffuse — viticoltura e olivicoltura — si osserva con facilità come alcune criticità agronomiche risultino amplificate da scelte e pianificazioni di cui siamo direttamente responsabili.


La vite e l’olivo, le colture più rappresentative della nostra economia, stanno risentendo dell’innalzamento delle temperature; tuttavia, un aspetto meno considerato riguarda l’incidenza dell’aumento, su scala locale, dell’umidità, con tutte le problematiche che tale fattore comporta. Mentre, a livello globale, è la siccità a prevalere, da noi si aggiunge un ulteriore elemento di criticità: l’umidità.


Procediamo con ordine. Nelle nostre zone, chi ha memoria del clima alla fine del secolo scorso ricorda bene come esso sia improvvisamente mutato con la realizzazione dell’invaso di Campolattaro: prima i giorni di nebbia si contavano sulle dita di una mano, mentre oggi risulta impossibile enumerarli. Così il prof. don Mario Iadanza: «Quello che finora abbiamo conquistato è la presenza della nebbia e delle zanzare e la trasformazione degli agricoltori in disoccupati». E la dott.ssa Mastroberardino osserva: «Il microclima può essere influenzato dalla presenza dello specchio liquido, con modifiche del locale regime pluviometrico e idrometrico e con effetti sulla biologia locale, quali la crescita di insetti, l’influenza sui pascoli, la scomparsa e/o l’apparizione di specie animali. Un fenomeno legato alla creazione di un serbatoio è quello delle nebbie, che si verifica quando la temperatura dell’acqua è superiore a quella dell’aria e l’umidità supera il 90%». L’impatto della diga-invaso di Campolattaro sul microclima locale è, dunque, difficile da negare.


Le nebbie e il clima più umido favoriscono lo sviluppo di malattie fungine (peronospora, oidio, marciume radicale, ecc.), incidono sull’allegagione, sui parassiti e sulle infestanti. Ne consegue che le ripercussioni negative sulla qualità e sulla quantità dei nostri prodotti risultano significative, così come quelle sull’economia e, in definitiva, sulla sopravvivenza stessa delle nostre comunità.


Per quanto riguarda l’olivicoltura, nebbia e umidità agevolano la proliferazione di funghi e batteri: il Pseudomonas savastanoi, responsabile della rogna dell’olivo e non debellabile; il Colletotrichum gloeosporioides, che provoca la lebbra dell’olivo; lo Spilocaea oleaginea, causa dell’occhio di pavone; oltre alla Cercosporiosi e all’Antracnosi, tra le patologie più diffuse. Ma il pericolo principale resta la Bactrocera oleae, la mosca dell’olivo, capace di annientare intere annate e di trasformare il nostro oro verde da extravergine a lampante. A differenza della mosca comune, la mosca dell’olivo registra elevata mortalità con clima asciutto e temperature superiori ai 32 °C, soffre temperature inferiori allo zero ma prolifera con temperature miti (21–28 °C) e con umidità elevata (60–70%): condizioni che, nelle nostre zone, si sono intensificate in primavera, a fine estate e in autunno, proprio dopo la realizzazione dell’invaso di Campolattaro.


A questo quadro potrebbe aggiungersi la Philaenus spumarius, la “sputacchina”, che predilige ambienti umidi ed è il vettore della Xylella fastidiosa. Tutte queste criticità possono essere mitigate solo in parte attraverso potature che favoriscano la circolazione dell’aria e la penetrazione della luce nella chioma (fondamentale la corretta formazione sulla potatura a vaso policonico semplificato) e, in parte, mediante interventi agronomici spesso onerosi, indipendentemente dal metodo adottato — convenzionale, integrato o biologico — e senza mai garantire una protezione totale.


Insomma i danni inflitti alle nostre colture e ai nostri pascoli dalle alterazioni apportate al microclima potrebbero non fermarsi allo stadio attuale. Su questo territorio incombe infatti il progetto di una centrale idroelettrica a pompaggio: la centrale della Repower prevede la realizzazione di un ulteriore bacino di accumulo in montagna, mediante l’impermeabilizzazione di un bacino imbrifero naturale noto come Lago Spino. Qualora l’opera venisse realizzata, ci troveremmo a convivere con due importanti fonti artificiali di umidità. Che ne sarebbe del nostro microclima, già compromesso? Che ne sarebbe delle nostre colture, della nostra economia, delle nostre comunità? Il tavolo incaricato di valutare la procedura VIA (Valutazione di impatto ambientale) saprà considerare il valore del nostro vino, del nostro olio, dei nostri prosciutti, dei nostri formaggi, delle nostre attività produttive e dei nostri centri abitati, tenendo nella giusta misura ogni elemento in discussione?


di Raffaele Pengue

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