Soltanto la cultura può fermare la guerra
L’ebraismo nel cuore del Sannio: storia e ricchezza di una presenza dimenticata tra Molise e Benevento
Tra le pieghe del paesaggio appenninico, al confine tra il Molise e la provincia di Benevento, affiora una storia spesso trascurata dalla grande narrazione nazionale: quella della presenza ebraica nell’antico Sannio. Non si tratta soltanto di una testimonianza culturale, ma anche di un contributo concreto, duraturo, allo sviluppo economico e sociale del territorio. È una vicenda che intreccia mobilità, saperi, lavoro e resilienza, e che ancora oggi sopravvive nei toponimi, nei registri fiscali e nelle pietre scolpite.
A Benevento, importante nodo tra le vie Appia e Traiana, la comunità ebraica è attestata già in epoca tardoantica. Tra l’XI e il XIII secolo, la città divenne un centro culturale ebraico di rilievo: vi operava una yeshivah fondata da Hananeel ben Paltiel, figura eminente della tradizione rabbinica italiana. Il viaggiatore sefardita Benjamin di Tudela, nel XII secolo, documenta una comunità composta da oltre duecento famiglie, impegnate nei settori del commercio, della tintura, della medicina e della lavorazione dei tessuti. I medici ebrei beneventani erano spesso in rapporto con la Scuola Medica Salernitana e svolgevano un ruolo di primo piano nella diffusione del sapere scientifico.
La presenza ebraica fu anche un fattore di modernizzazione economica. Le comunità ebraiche introdussero tecniche specializzate nelle arti manifatturiere, come la concia delle pelli e la produzione di tessuti pregiati. Favorirono la nascita di reti di credito informali e pratiche proto-bancarie, anticipatrici dei Monti di Pietà. A Guardia Sanframondi, ad esempio, nel XV secolo si insediò una piccola comunità ebraica, attiva nella concia delle pelli lungo il torrente Carbonaro, in contrada Portella. Qui, fuori dalle mura cittadine, fu concessa loro un’antica cappella rurale per l’esercizio del culto. Le attività prosperarono fino alle espulsioni imposte dai decreti pontifici del 1569 e del 1630. Alcune famiglie, convertitesi al cattolicesimo, contribuirono alla fondazione del Monte di Pietà locale. Non a caso, nel 1739 la comunità guardiese mise letteralmente in fuga la famiglia baronale dei Carafa, originaria di Maddaloni, protagonista di una politica fiscale accidiosa, intrisa di balzelli e vessazioni: un episodio che testimonia la capacità di autodifesa civile e la forza sociale di un tessuto comunitario radicato e partecipe.
Anche nel vicino Molise, l’impronta ebraica è tangibile. A Bojano, la “via della Giudecca” e alcuni plutei scolpiti con simboli ebraici richiamano la presenza di un insediamento stabile già in epoca altomedievale. Durante il secondo conflitto mondiale, paesi come San Giuliano del Sannio ospitarono ebrei internati per motivi razziali, a testimonianza di una vicenda che attraversa i secoli fino alla Shoah.
Sebbene non rimangano sinagoghe né archivi liturgici completi, la memoria di queste comunità sopravvive nei documenti notarili, nei catasti, nella tradizione orale e in un paesaggio urbano che conserva tracce silenziose ma eloquenti: dalle chiese sorte su ex luoghi di culto ebraici alle pietre tombali ricollocate, fino alla struttura stessa del tessuto artigianale di molti centri minori.
L’ebraismo sannita – da Benevento a Bojano, da
Guardia alle valli molisane – non fu una presenza marginale, ma un
elemento generativo, capace di coniugare cultura, lavoro e
coesistenza. Riscoprirlo oggi significa non solo dare voce a una
pagina rimossa, ma anche comprendere come minoranze dinamiche abbiano
contribuito, con discrezione e competenza, alla vitalità economica e
culturale del Sud.
Una storia antica, ma ancora capace di
parlare al presente.
Roma, Ebraica 2025: il Festival Internazionale della Cultura Ebraica celebra memoria, identità e dialogo
Nel cuore del Ghetto di Roma, tra le pietre millenarie del Portico d’Ottavia, si rinnova l’appuntamento con Ebraica – Festival Internazionale di Cultura, giunto quest’anno alla sua diciottesima edizione. Promossa dalla Comunità Ebraica di Roma, la manifestazione – in corso dal 22 al 25 giugno presso il Palazzo della Cultura – propone un programma articolato e denso di significati, capace di coniugare memoria, riflessione e attualità con una cifra intellettuale di alto profilo.
Il tema scelto per il 2025, “(A)Live”, rappresenta un gioco linguistico e concettuale che richiama la vitalità della cultura ebraica: una presenza viva, resistente, in continuo dialogo con la storia e il presente. La direzione artistica, affidata ad Ariela Piattelli, Raffaella Spizzichino e Marco Panella, ha saputo costruire un palinsesto multidisciplinare che abbraccia arte, pensiero, spiritualità, letteratura e impegno civile.
Il festival si è aperto con la mostra fotografica Rex, la nave giusta, dedicata alla vicenda del transatlantico italiano che nel 1939 avrebbe potuto salvare centinaia di ebrei in fuga dall’Europa nazista. Nei giorni successivi, il pubblico ha potuto assistere a incontri su temi di forte rilevanza storica e sociale: dai rapporti ebraico-cristiani nel XVI secolo all’omaggio ad Árpád Weisz, l’allenatore ebreo perseguitato dal fascismo, fino a un confronto sul linguaggio dell’odio e l’antisemitismo nell’era digitale.
Particolarmente atteso è l’evento conclusivo di martedì 25 giugno: Il valore del Noi, un dialogo interreligioso che vedrà protagonisti Rav Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, il direttore di Repubblica Maurizio Molinari e Stefano Lucchini, responsabile relazioni esterne di Intesa Sanpaolo.
Tutti gli appuntamenti sono a ingresso gratuito, con prenotazione obbligatoria. Ebraica 2025 si conferma così non soltanto come una rassegna culturale di primo piano, ma come un laboratorio aperto e vitale di pensiero, testimonianza e confronto: un gesto civile che rinnova l’impegno della cultura ebraica nel tessere i fili della memoria e della convivenza.
#domenicorotondi
Commenti
Posta un commento